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Contrabbandiere

Contrabbandiere - Bricolla

La “bricolla” del contrabbandiere

Il termine “contrabbando”, ricorda il giurista Mario Di Lorenzo (Il contrabbando e altri reati doganali, 1954), ha la sua derivazione etimologica nella parola contra bandum che stava ad indicare, nel periodo barbarico e feudale, la disobbedienza ad un ordine del re o del feudatario (il banno) e quindi la relativa sanzione. Se le sue origini sono quindi antichissime e di datazione incerta, sicuramente cominciò a assumere una certa importanza a partire da inizio Ottocento durante il periodo napoleonico, quando  sorsero numerose barriere doganali lungo i confini dell’allora Repubblica Cisalpina, tra cui quelli di Domodossola, di Iselle e di Re.

Ma se all’inizio il contrabbando si limitava a situazioni episodiche, con l’istituzione del Regno d’Italia nella seconda metà dell’Ottocento, la quale determinò la fine dei privilegi fiscali di cui godeva l’Ossola, si assistette a una diffusione parossistica del fenomeno del traffico clandestino di merci tra stati. Così la Val Vigezzo, zona di confine tra Italia e Svizzera, fu interessata in particolare alla diffusione di  questo  fenomeno, con il passaggio e lo scambio  illecito di merci al di qua e al di là della frontiera attraverso montagne e impervi valichi.

Le prime disposizioni doganali, che vennero applicate nell’Italia Unita, erano contenute nel Regolamento doganale promulgato con il Regio Editto 4 giugno 1816, ma la nuova situazione politica ed economica rese necessaria una nuova normativa e così fu varato il nuovo regolamento del 21 dicembre 1862, ispirato a concetti e princìpi di repressione, praticamente rimasti fondamentali nello stato italiano.

Soprattutto da quel  momento iniziò una sorta di gioco “guardie e ladri” tra le autorità preposte a far rispettare le leggi, che regolavano il commercio dell’epoca, e chi cercava modi sempre nuovi e innovativi per aggirarle.

Copertina della Domenica del Corriere dedicata agli spalloni

Copertina della Domenica del Corriere dedicata agli spalloni

La popolazione stessa, o quantomeno la “frangia povera”, non avvertiva il contrabbando come reato, bensì come un mezzo per poter integrare gli scarsi redditi derivanti dalle proprie modeste professioni ed poter evitare i dazi doganali, allora ritenuti particolarmente gravosi e penalizzanti, tanto che, chi non era già direttamente implicato di persona nelle attività di contrabbando, in qualche modo fomentava il fenomeno. Molti alpigiani ospitavano o “coprivano” i contrabbandieri, proteggendoli dai controlli dei finanzieri e dalle azioni di repressione.

Fu così che, negli ultimi decenni dell’Ottocento, soprattutto a seguito dell’entrata in vigore della legge doganale, emanata da Umberto I con Regio Decreto del 26 gennaio 1896, si decise di inasprire le pene per questo reato: il contrabbando “semplice”, ovvero quello eseguito da soli e per la prima volta, costava sei giorni di prigione, mentre il contrabbando “organizzato”, ovvero quello in cui si agiva in “associazione a delinquere”, spesso con l’aiuto della popolazione locale, poteva costare fino a 5 anni di prigione. Gli “spalloni”, così erano chiamati i contrabbandieri, ebbero un ruolo particolare durante la Seconda Guerra Mondiale, quando alcuni favorirono l’espatrio in Svizzera di antifascisti, prigionieri politici o di intere famiglie di ebrei, facendoli scampare alla deportazione nei campi di concentramento. Solitamente veniva richiesta in cambio una somma in denaro, ma non mancarono episodi di grande e “gratuita” umanità.

Negli anni ’60 e ‘70, quando il valore del franco svizzero divenne molto elevato rispetto alla lira italiana, il contrabbando “tradizionale” ovvero  quello del caffè, del riso, dello zucchero e, soprattutto nel secondo dopoguerra, quello delle “bionde” (le sigarette),  perse progressivamente la sua importanza,  non risultando più un’attività remunerativa come in precedenza;  così a poco a poco il  fenomeno scemò e il simbolo del contrabbando, la “bricolla”, sorta di pesantissimo zaino in tela di juta portato a spalle, fu relegato ai racconti dei più anziani e alla memoria della Val Vigezzo.

 

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