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Il mestiere del carbonaio in Val Vigezzo

Nelle tradizionali attività legate all’economia agropastorale, una particolare “nicchia” è quella occupata dall’antico mestiere del carbonaio, la cui attività andava a utilizzare i sottoprodotti dello sfruttamento dei boschi, quali la sramatura delle “borre”, cioè i tronchi grossolanamente levigati che venivano in seguito trasportati a valle.

Foto d'epoca con un carbonaio di Coimo (Val VIgezzo)

Foto d’epoca con un carbonaio di Coimo (Val VIgezzo)

I rami, accuratamente accatastati dai carbunìt in un gigantesco focolare, venivano dapprima ricoperti da uno strato di felci, erba e terra asciutta, e quindi bruciati molto lentamente. Il parziale isolamento dall’ossigeno, esercitato dallo strato di materiale organico, impediva che il processo di combustione fosse completo e che quindi il legno si incenerisse completamente. Si produceva così carbonella, utilizzata soprattutto a scopi domestici: accensioni di focolari, camini delle case e forni. Ma parte della produzione era destinata ai trasporti ferroviari, la cui diffusione toccò l’apice proprio nella prima metà del Novecento.

Come racconta Benito Mazzi, nel testo “La civiltà del Legno in Val Vigezzo” (2000) è interessante notare come a fare il lavoro “pesante”, ovvero quello di trasportare il carbone a valle, fossero le donne, spesso consorti o comunque parenti dei carbunit.  Queste  «si caricavano 70 kg sulle spalle e qualcuna addirittura tocca il quintale (il primato appartiene a Domenica Zamboni di Toceno che toccò i 117 kg)».

 

 

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