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L’agricoltura in Val Vigezzo

«I prodotti della Valle sono tali quali si possono avere in un paese montuoso, ed assai elevato, situato cioè al di sopra settecento e più metri dal livello del mare. Questi prodotti consistono in segale, formentone o grano saraceno, pomi di terra , fieno, castagne, noci, canape, lana, ortaglie e legumi, non che piccole quantità di miele, cera, e vino».

Cartolina agricoltura Val Vigezzo

Cartolina d’eepoca: orti in Val Vigezzo

Questa sintetica citazione, tratta dal Dizionario Storico-statistico della Valle Vigezzo di Carlo Cavalli, edito nel 1845, fornisce una significativa istantanea delle tradizionali attività agricole di valle che si mantennero quasi immutate, con pochi rilevanti cambiamenti, sino alla prima metà del secolo scorso.

In Val Vigezzo la vita e il lavoro del contadino erano fortemente scanditi dallo scorrere del tempo e delle stagioni, che potevano influenzare sensibilmente il lungo e faticoso lavoro di un’intera annata.

A ciò si aggiunga che spesso, almeno fino a qualche decennio fa, il tempo meteorologico della zona era mediamente avverso e poteva giocare brutti scherzi in ogni momento. La gelata, la nevicata improvvisa fuori stagione, la grandine, l’alluvione, erano un rischio concreto per le coltivazioni e per le attività agricole in generale.

Una parte dei prodotti agricoli veniva utilizzata in proprio, mentre un’altra parte veniva portata ai mercati dei paesi e venduta in cambio di pochi soldi.

Un’ agricoltura quindi povera e  normalmente di sussistenza: il contadino viveva  di quel poco che riusciva a produrre, e ciò fa capire quanto fosse precaria e modesta la sua condizione economica e quanto la sua vita fosse una lotta continua contro le condizioni meteorologiche, la natura, la terra tenendo anche conto della  parcellizzazione dei terreni e delle tecniche colturali alquanto rudimentali.

Dipinto Carlo Fornara

Dipinto Carlo Fornara sul tema dell’agricoltura montana

Un’altra difficoltà era rappresentata dalla conformazione geomorfologica della Val Vigezzo: se a fondovalle il problema principale erano le gelate notturne, sui pendii si doveva fare i conti con un terreno scosceso e roccioso. Di conseguenza si faceva ricorso alla costruzione di terrazzamenti per sottrarre terreno alla pietra e renderlo almeno in parte coltivabile.

Secondo Carlo Cavalli i contadini vigezzini avrebbero dovuto riconvertire in parte la loro scarsa produzione alla coltivazione della patata, chiamato “pomo di terra”: «Perchè col cambiamento dei generi di coltura in Vigezzo verrebbero gli abitanti a ricavare dalle loro terre a campo con che vivere per cinque mesi, tre cioè con pomi di terra , e due colle granaglie acquistate, mentre col sistema attuale non ricavano il vitto che per due mesi, e dicianove giorni , un mese cioè col grano raccolto, ed il restante tempo coi pomi di terra. Si aggiunge ancora che dal presente calcolo resta escluso il quinto dei terreni, il quale coltivato a grano, a meliga, a legumi potrebbe ancora somministrare alimenti bastanti per un altro mese, e così in totale per sei mesi. Ai presenti calcoli, che ci sembrano irrefragabili, non si potrebbero, a nostro senso, opporre che le difficoltà dello smercio, e quella dei trasporti. Ma a quest’ultimo si è ormai riparato colla sistemazione della strada carrettiera Vigezzina, la cui mercè con due centesimi per libbra si possono i pomi di terra far trasportare a Domodossola».

Si è detto di pratiche colturali rudimentali, per le quali avere a  disposizione un bue o un mulo consentiva di velocizzare e ottimizzare il lavoro. Chi invece non aveva questa disponibilità, doveva provvedere al proprio lavoro esclusivamente con la forza delle braccia. Illuminante in questo senso ciò che sottolinea Giovanni Maurizi testo “Il nuovo Comune di Craveggia” (1930): «In tutta la valle la robustezza dell’uomo e della donna supplisce alla mancanza di cavalli e buoi nella lavorazione della terra…I campi oggi si lavorano esclusivamente con la vanga o zappa con maggior dispendio di forze muscolari e minor profitto… ». Ma, d’altra parte, conseguenza logica  di questa situazione, per la stessa sopravvivenza della famiglia del contadino,  era  la capacità di svolgere più di un mestiere, caratteristica tipica dei vigezzini («Per ciò che spetta alle facoltà intellettuali della popolazione vigezzina, diremo che gli abitanti di questa valle sono per lo più di ingegno svegliato, solerti, e capaci delle più ardite intraprese»), che dovevano sbarcare il lunario in una condizione di sostanziale avversità economica, oltre che propriamente territoriale.

 

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