In Val Vigezzo, con gli inizi del Novecento, dalle ciovende (viadotti artificiali costruiti sui torrenti per portare il legname verso valle) si passò all’uso delle più moderne teleferiche.
A tal proposito lo scrittore Benito Mazzi, nella pubblicazione “La civiltà del legno in Val Vigezzo”, riferisce che la prima teleferica fu installata nel 1911 a Faedo di Craveggia e la seconda, poco tempo dopo, a Vaccarone di Toceno. Da lì in poi comparvero diffusamente un po’ in tutta la Val Vigezzo e in generale nel comprensorio dell’Ossola, andando a sostituire definitivamente le poco efficaci ciovende.
Le prime teleferiche, compresa quella di Craveggia, erano costituite da un’unica fune attaccata a due estremità (“fil a sbalz” o “palorcio”): su queste monofuni i tronchi venivano fatti cadere per inerzia, senza controllo. Possiamo immaginare come questa manovra non fosse priva di rischi per l’incolumità delle persone.
Già pochi anni dopo fu messo a punto un sistema di frenatura manuale per limitare la velocità di caduta dei tronchi, anche se per bilanciare la forza di gravità era richiesto un impiego massivo di uomini. Ma è a cavallo degli anni ’30 che subentra finalmente la teleferica a contrappeso, costituita da un cavo portante e da un cavo traente.
Dice Benito Mazzi: «Di dimensioni faraoniche è quella ormai leggendaria dell’impresa Girola, vero capolavoro di ingegneria, posata nel 1931 per lo sfruttamento dei boschi della Valle Onsernone. Lunga nove chilometri, parte dai Bagni di Craveggia, si snoda a Fondo Monfracchio, sorpassa la Bocchetta di Moino a oltre 2000 metri, internandosi per un tratto di galleria, dove forma una stazione ad angolo, e da qui riparte per la battuta d’arrivo alla “Siberia” nel fondovalle vigezzino. Le borre destinate alle segherie della città vengono quindi caricate su enormi carri trainati da cavalli o raggiungono Domodossola per ferrovia sui “bìlik”, lunghi vagoni scoperti e snodati».
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