Lo storico Paolo Norsa in Invito alla Valle Vigezzo illustra una breve cronistoria sull’evoluzione del costume vigezzino: «Fino al Seicento, era costituito da calzoncini corti larghi, innestati ad un corsetto marrone o nero, ricoperti talvolta posteriormente da una mantelletta nera, che scendeva fino alla piegatura del ginocchio. In testa portavano cappelli di felpa (tessuto di seta con pelo più lungo del velluto) a cilindro; talvolta anche di paglia, a tese larghe, con bordatura in oro. Verso la fine di quel secolo, il cilindro di felpa venne sostituito da un fazzoletto di damasco, annodato dietro la nuca. Le ragazze ne lasciavano scendere le cocche sulla spalla destra.
Col secolo XVII le donne ebbero a portare una giubba (pettorina) unita alla gonna, la quale arrivava alle caviglie ed era allacciata sul davanti da nastri di seta o cordoncini dorati. Il soprabito era chiuso sul davanti da un merletto. Il grembiale era perlopiù nero per le donne, a fiori per le ragazze. Le scarpe basse, gallonate d’oro e d’argento; le calze di seta nera o marrone; bianche per le spose. Le contadine portavano veste e sottoveste da lavoro, un piccolo drappo sulla schiena; al collo un fazzoletto di seta cruda, mista a cotone. Completavano l’abbigliamento collane di granato. Le spose avevano collane d’oro (normalmente di basso titolo: dorini) o d’argento, regalate dal fidanzato, e croci piatte coi simboli della Passione incisi sulla superficie».
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